"Quando gli Déi camminavano sulla Terra" di Federico Bellini
Oannes e Dagon in Medio Oriente, Dogon
in Africa, e persino Dogu in Giappone, variazioni dello stesso nome per
descrivere la medesima tipologia di “Essere”.
I Dogu sono antichissime statuette raffiguranti non meglio precisati personaggi
in “tuta spaziale” e che risalgono
attorno al 600 a.C., ossia esattamente al tempo in cui le Divinità Celesti consegnarono il territorio giapponese a Jimmu
Tenno (il primo imperatore del Giappone), più o meno nello stesso periodo in
cui nel 592 a.C., a migliaia di chilometri di distanza verso ovest, il profeta
Ezechiele, ebbe la visione ultraterrena di presunti oggetti tecnologicamente
avanzati. La storia dei Dogu è singolare perché venne scomodata persino la
NASA, quando attorno agli anni ’60, lo scienziato Kurt Von Zeissig, ne fece
menzione in una lettera che inviò all’agenzia spaziale americana: “I nostri analisti ritengono che l’ipotesi
concernente la tuta raffigurata nei documenti da lei inviati sia degna di nota.
È stata preparata una tuta analoga (a cura della Litton Industry di Los
Angeles) la quale, inviata alla direzione generale per le attrezzature
astronautiche della NASA, è ora in via di perfezionamento. Le rendiamo noto,
inoltre, che i dispositivi di comunicazione, le montature speciali degli
oculari, le articolazioni, le cerniere a sfere e gli accorgimenti per il
mantenimento della pressione indicati nella foto, che lei ha elencato, sono
stati inclusi nella variante rigida della tuta spaziale.”
Quali documenti lo scienziato aveva
inviato in America? Le foto e i disegni di queste strane statuette giapponesi,
da lui esaminate assieme al collega Yusuke Matsumura, figurine dal capo
deforme, gli arti e il tronco arrotondati in modo innaturale e con curiose
decorazioni. Sappiamo che in Giappone la produzione di statuette Dogū (ovvero “bambola di terra”) ebbe inizio nel tardo
“Periodo Jōmon” (2000 a.C./300 a.C.),
dove ci risulta che le prime figure di queste opere erano rozze e mancavano degli
arti superiori, ma in seguito cominciarono ad apparire sempre più perfezionate in
modo sorprendente. Gli studiosi rimasero ovviamente perplessi di fronte a
queste piccole opere, alte dai 7 ai 30 cm, e a colpire la loro attenzione fu la
zona corrispondente gli occhi, occupata da due grosse sporgenze ovali con una
fessura orizzontale in mezzo, mentre in altre sono presenti delle specie di
finestrelle rettangolari.
Nel 1894 l’antropologo Shogoro Tsuboi
osservò che gli ovali assomigliavano agli occhiali protettivi utilizzati dagli
eschimesi per difendersi dal freddo, ma le sue parole non convinsero i
colleghi, i quali chiusero la questione definendo queste statuette come “raffigurazioni di antiche armature”.
Come più tardi scrisse in un articolo lo scrittore sovietico Aleksandr
Kasantzev, Matsumura e Von Zeissig erano infatti sicuri che la “Corazza Jōmon” rappresentasse fedelmente
un tipo di scafandro usato da visitatori provenienti dallo spazio. I due
studiosi, inoltre, ricordavano una raffigurazione del Dio della Saggezza, Hitokotonusi, che, secondo un’antica leggenda
giapponese, sarebbe sceso sulla Terra per insegnare agli uomini la sapienza e
farsi consegnare da loro tutte le armi che possedevano; infatti, colpisce che
questa figura antropomorfa (dal volto di tipo caucasico e non mongoloide)
indossi un “Costume Jomon” con tutti
i dettagli, compreso il casco.
Per certo i contatti tra la popolazione
e questi “Esseri” non furono né
saltuari e né brevi, dal mo-mento che le statuette sono state rinvenute in
numero considerevole presso le zone di Kamegaoka, Aomori e Miyagi, e tra le
rovine di Tohouko e Kanto, facendo supporre che gli scultori devono essere
stati in grado di osservare nei minimi dettagli i loro modelli, in quanto furono
capaci persino di riprodurre diversi tipi di caschi, con altrettanti tipi di
tute non identiche tra loro.
Eppure, se prendiamo in considerazione
la storia del Giappone Imperiale, non
dobbiamo rimanere sorpresi di questi eventuali “strani contatti”. Difatti, per lo shintoismo, la religione
nazionale dei giapponesi, il Tenno, che significa “Celeste Sovrano” o Mikado, era non soltanto il reggitore terrestre
dell’impero, e di discendenza divina, ma egli stesso un Dio. Considerate che dopo la sconfitta subita dal Giappone alla
fine della Seconda Guerra Mondiale,
con un rescritto impostogli dai vincitori, l’imperatore Hiroito pronunciò via
radio alla nazione nel gennaio del 1946, il “Tenno no ningen sengen” (Dichiarazione
della Natura Umana dell'Imperatore), con cui il sovrano stesso dichiarava
formalmente di non essere di natura divina, negando di conseguenza la
superiorità dei giapponesi nei confronti delle altre nazioni del Mondo.
Lo Shintoismo vanta un’antica tradizione
scritta, raccolta negli annali. Nel Kojiki,
compilato nel 712 d.C., è contenuta la storia delle vicende più arcaiche che
risalgono fino alla più lontana preistoria, mentre nel Nihongi, redatto in trenta libri dal principe Toneri, e datato al
720 d.C. è presente una sorta di cronaca ufficiale dell'impero. Benché entrambe
le opere siano state scritte nell'VIII secolo della nostra era, sono
sicuramente trascrizioni di originali assai più antichi, che a loro volta furono
la trascrizione di tradizioni orali ancora più arcaiche, e che risalgono,
probabilmente, al tempo in cui regnava il primo imperatore del Giappone Jinmu o
Jimmu[1].
Il Nihongi
corrisponde in pieno a ciò che è stata la Bibbia
per il nostro recente passato, infatti è sia un corpus di leggende e folklore,
ma anche un libro di storia verosimile per gli abitanti dell’arcipelago. Mentre
la maggior parte dei miti ebraici ci racconta la ruvida esperienza dei
contadini e dei patriarchi della Palestina, il mito giapponese ci reca il
resoconto di un mondo feudale raffinato e perverso, con alle spalle l’eleganza
e le fantasie barocche della tarda civiltà cinese.
Già nota è la storia della dea Amaterasu
(già trattata nella prima parte di questa opera, Cosmogenesi, nel capitolo 3.4
- Il Consiglio delle Galassie), dove simili storie si ritrovano anche in
altri miti della Terra, come quello di Ra in Egitto, di Demetra in Grecia, etc.
Il dio-eroe di turno (Susanowo, come il Sansone biblico[2]), uscito dalle tenebre,
non sapendo dove posare il capo, vagò qua e là e riuscì ad uccidere persino il Serpente Ottoforcuto (del tutto simile
all’Apopi mostruoso dell’Egitto), salvando così una donzella (come il Perseo
dei Greci), arrivando poi ad organizzare il “Traino delle Terre” (la Deriva
dei Continenti) come un novello Ercole, e la semina, donando alle isole la
loro forma odierna.
Ancora nel Nihongi, come nel mito africano dei Dogon o quello cinese degli Immortali, è riportato che Otto persone scesero dal Cielo, quindi un intero equipaggio, e
atterrarono e decollarono con un fragore assordante in mezzo ad una nuvola di
fumo: “Quando Susa no Wo no Mikoto
(Susanowo) risalì per primo in Cielo, il grande mare mandò un rombo simile al
tuono e si agitò, e i monti e le colline gemettero forte, e tutto questo per
l'impetuosità della (sua) natura divina”, esattamente come si racconta
nella Bibbia, quando YHWH scendeva o
risaliva sulla Terra, spaventando sovente il suo stesso popolo.
Nel Kojiki,
il testo in cui sono raccolte le cronache più arcaiche, le informazioni si
fanno ancora più interessanti. Amaterasu, regina del Sole, inviò il nipote
Ninigi sulla Terra affinché diventasse il reggitore del Giappone. Ninigi,
arrivato, si posò sulla cima di un monte (un po’ come YHWH faceva sul Sinai o
Zeus sull’Olimpo), nella parte occidentale dell’isola di Kyushu, e portò con sé
tre strumenti: un misterioso specchio metallico, una spada e una collana di
pietre preziose, tre simboli che avrebbero poi incarnato la maestà imperiale, e
che si sono conservati fino ad oggi. Milioni di giapponesi, infatti, si recano
tutti gli anni in pellegrinaggio al Tempio di Ise, nell’isola di Honshu, la maggiore
delle quattro principali, per venerare lo specchio sacro, il più prezioso tra
tutti i gioielli imperiali, conservato nel naiku, il “Sancta Sanctorum”, come ugualmente a Gerusalemme le Tavole della Legge venivano conservate
nel Tempio di Salomone.
La spada, invece, è in custodia in un
altro tempio, quello di Atsuta presso Nagoya, nel settore centrale di Honshu,
mentre la collana di pietre preziose si trova nel palazzo imperiale di Tokyo.
Lo specchio sacro, che secondo le fonti si ritiene essere quello originale è
riposto in una reliquia, protetto da quattro involucri che non sono mai stati
aperti, e ogni qualvolta la copertura esterna appare corrosa per l’usura del
tempo, i sacerdoti si affrettano a sostituirla con una nuova, tanto che nessun
essere vivente al Mondo sa cosa si celi sotto la quadruplice custodia, come
similmente avveniva anche per l’Arca
dell’Alleanza di Mosè, ricoperta di pesanti stoffe preziose.
Insomma, appare alquanto evidente che un
filo conduttore lega tutte le mitologie della Terra, seppure si siano poi
differenziate le une dalle altre, a causa delle enormi distanze. Perché come
similmente si racconta nella mitologia norrena, anche i giapponesi, nel loro
folklore, narrano di Emma-Hoo (simile
alla Emme Ya dei Dogon), il Regno di Jigoku, una regione di fuoco e
di ghiaccio suddivisa in 8 livelli, dove Jigoku
era piena di Oni o Demoni, dalle teste bovine o equine ma dai corpi umani. Il
Giappone menziona anche altri abitanti delle caverne che vengono fuori di tanto
in tanto, come i Tengu, folletti rettiliani con testa di uccello che risiedono
in regioni montagnose e che generalmente escono di notte. Altri esseri sono i
Kappa, delle specie di gnomi umanoidi semi-acquatici dall'aspetto totalmente
rettile, ma anche le "ripugnanti
ragazze degli inferi" e diverse altre Entità Mutaforma che vivono nel sottosuolo o persino sotto le
abitazioni; tra queste ci sono i “Popoli Volpe”,
che spesso assumono forma umana e si dilettano a rapire o a sedurre i mortali.
Ma tali conoscenze si spingono ben
oltre, verso vette così inaspettate da risultare sconcertanti, al pari di
quelle Indù. Sempre nel Nihongi, è
riportato quanto segue: “in tempi
immemorabili il Cielo e la Terra, quando non erano ancora separati e non erano
separati neppure il femminino e il mascolino, formavano un caos che somigliava
a un uovo di gallina e nella massa caotica era contenuto un seme. La sua parte
pura e luminosa si allargò, assottigliandosi e divenne il Cielo; la parte
pesante e torbida rimase in basso e divenne la Terra. Mentre fu cosa facile la
fusione armoniosa della parte pura e delicata, fu molto più arduo il processo
di coagulazione della parte pesante e torbida. Per questo il primo a essere fu
il Cielo e soltanto dopo la Terra prese una forma definita.”
Come non ravvisare il manifestarsi del Big Bang in questa descrizione, ovvero
di quell’effetto prodotto dalla grande esplosione primordiale che continua a perpetuarsi
ancora oggi? Ma oltre la descrizione dell’Universo, si passa persino a tracciare
le dinamiche geologiche del nostro stesso pianeta. Ad oggi, più o meno sappiamo
che la litosfera o crosta terrestre è l'involucro esterno del nostro pianeta e
che, commisurata al suo impressionante volume di 1.083.219.000.000 chilometri
quadrati circa, ha lo spessore paragonabile a quello di una buccia di mela. La
litosfera poggia sopra uno strato roccioso granitico, che però manca su gran
parte del fondo oceanico, infatti, il limite inferiore della crosta terrestre,
giace ad una profondità che va dagli 8 ai 15 chilometri sotto la superficie
degli oceani, da 30 a 40 chilometri sotto la superficie delle pianure, e da 50
a 70 chilometri sotto la superficie degli altopiani e delle grandi catene
montuose. Il mantello della Terra ha uno spessore massimo di 2.900 chilometri e
a 5.100 chilometri di profondità comincia il nucleo interno, dove la massa fusa
interna dalle altissime temperature, completamente impregnata di gas, è
chiamata magma.
Solo nel 1912 il geofisico Alfred
Wegener (1880-1930) elaborò la celebre Teoria
della Deriva dei Continenti, eppure il Nihongi
ne parlava già millenni prima! “Quindi
comparvero fra loro esseri divini. Perciò si dice che agli inizi della Creazione
del Mondo le terre emerse che galleggiavano erano paragonabili a un pesce che
nuotasse, guizzando allegramente, sulla superficie dell'acqua.” E ancora: “in tempi lontanissimi, quando la Terra era
giovane e il Mondo era giovane, tutto si muoveva galleggiando come una massa
oleosa. A quel tempo sorse, all'interno della terraferma, qualcosa che era
simile nell'aspetto al germoglio di una canna palustre. Da questo germoglio,
attraverso una trasformazione, nacquero divinità che portavano il nome... poi,
in mezzo al vuoto, si formò qualcosa che era simile a una chiazza d'olio
galleggiante e che in seguito si trasformò in una divinità...”
Infine, come nei computi astronomici
induisti, sumeri ed egiziani, così come nella descrizione dei Giorni di Dio nei testi ebraici, anche
in quelli giapponesi si spiega il principio della Dilatazione del Tempo, in molte leggende arcaiche è presente la
figura di uno specifico dio chiamato Omohi-kane-no-kami
(Omoikane), nome che tradotto
significa: “la divinità che assomma in sé
la capacità di pensiero di molti Dèi”, e che al giorno d’oggi potrebbe
benissimo rappresentare la descrizione di un vero e proprio Computer!
Del resto, tali tempistiche non sono
solo una novità per le divinità, perché nella mitologia cinese, ad esempio, si
riferisce che il primo sovrano, P'an Ku, vagò, similmente come l'egiziano Ra,
per 2.229.000 anni terrestri nel Cosmo,
come persino nel più familiare e a noi vicino Antico Testamento, si dice che nella mano di Dio tutto diventa: “un tempo e due tempi e un mezzo tempo.”
Addirittura, il salmo riveste lo stesso concetto di una qualche forma poetica:
“Perché mille anni, agli occhi tuoi, sono
come il giorno di ieri, già passato, e come una veglia nella notte...”
In buona parte dei miti della Creazione nelle varie culture del
pianeta, anche l’isola del Sol Levante si tramanda di un’epoca d’oro durante
la quale gli Dèi Creatori,
camminavano in mezzo agli uomini, governandoli. Ma chi erano queste Divinità? Visitatori di altri mondi e
che si spacciavano per Dèi? La
mitologia nipponica, come abbiamo ampiamente visto, è raccolta nel Kojiki (dal significato di “cronaca di antichi eventi”), un’opera in
tre libri scritta in giapponese antico. Il testo inizia con il racconto
mitologico della Creazione del Cielo e
della Terra, infine dell’Uomo, e
si racconta anche alcune vicende di queste Divinità
e che avevano deciso di dimorare sul pianeta sin dall’alba dei tempi; vengono
narrate anche le origini mitologiche della dinastia Yamato e delle maggiori
famiglie nobili.
Il primo tempo viene descritto come Jindai
moji o Kamiyo moji (“Personaggi dell’Età
degli Dèi”), un’epoca in cui una Terra desolata vide la discesa di due
entità, Izanagi e Izanami (oltre ad essere fratello e sorella, i due furono
anche amanti), intenzionate a dare forma e vita al pianeta. Si dice che il
primo gesto compiuto da questa coppia fu quello di far sorgere le terre
dall’Oceano e mescolarle con una lancia chiamata Ame-no-nuhoko, e con il fango
che si ammassò colando dalla lancia venne a formarsi la prima isola:
Onogaro-Shima (il Regno Terreno), in
seguito gli Dèi crearono anche altre
otto grandi isole che divennero la terra di Yamato, l’intero Giappone. Le due
divinità, dopo aver compiuto questa grandiosa opera, abbandonarono il Regno del Cielo e stabilirono la loro
nuova dimora direttamente sulla Terra appena creata.
«Izanagi
e Izanami scesero su quella piccola isola e là innalzarono un palazzo. Ma il
loro lavoro era appena iniziato: a parte quel piccolo scoglio deserto, il Mondo
era ancora una massa di acqua senza forma. Non vi era nulla: né piante né
animali né creature viventi, e il paesaggio era piatto e spoglio. Izanagi e
Izanami cominciarono a riflettere su come proseguire la loro opera di creazione.»
Dalla loro unione nacquero 35 esseri
sacri, tra cui il Dio del Mare,
O-Wata-Tsu-Mi, il Dio delle Montagne,
O-Yama-Tsu-Mi, il Dio degli Alberi,
Kuku-No-Chi e il Dio del Vento,
Shina-Tsu-Hiko. La nascita dell'ultimo Dio,
quello del Fuoco, costò la vita ad
Izanami che finì nello Yomo-Tsu-Kuni o Yomi (il Paese dei Morti).
«Purtroppo,
nel dare alla luce il Dio del Fuoco, Izanami si ustionò il ventre e morì. La
donna fu sepolta sul monte Hiba, nella penisola di Izumo. Izanagi molto si
dolse della morte della moglie.»
Paradossalmente si legge ancora una
volta della morte di una Divinità,
che per definizione dovrebbe essere Immortale,
pertanto, Izanagi e Izanami erano creature mortali[3]? E se così fosse, chi
erano veramente e da dove provenivano?
«Allora
Izanagi si mise in viaggio per il Profondo, lo Yomi-Tsu-Kumi, il paese dei
morti che si trovava nel sottosuolo. Entrò in una caverna, e dopo aver
percorso un lungo cunicolo, giunse ad una strana costruzione che sprofondava
ancor più nelle viscere della Terra.»
Izanagi, adirato, uccise dapprima il
figlio, poi scese nell’Inferno con
l’intento di condurre fuori la compagna, ma al suo arrivo, scoprì che si era
nutrita di cibo infernale ed era diventata un demone malvagio, al pari di una
Lilith mesopotamica o una Madre Nera.
La Dèa, sentendosi ricoperta di vergogna, si adirò a sua volta con lo sposo e
lo inseguì decisa ad ucciderlo, ma Izanagi riuscì a fuggire e sbarrò le porte
dello Yomi con un masso enorme. Izanami adirata gli gridò che avrebbe preso la
vita di 1000 umani per ogni giorno di lontananza, mentre Izanagi, ancora più
furente, le rispose che lui avrebbe dato la vita a 1500 umani per ogni giorno;
fu così che la Morte entrò nel Mondo con il suo eternarsi. Seppure i
ruoli siano invertiti, come non ravvisare nel mito giapponese la storia egizia
di Osiride ed Iside, entrambi fratello e sorella e al tempo stesso sposi, dalla
cui unione nacque Horus, il capostipite delle dinastie faraoniche e che,
similmente, vide la discesa nel Mondo Infero
di Osiride, dopo la sua morte, a causa e per mano del fratello Seth?
[1] Jimmu (Kamu-yamato-iwarebiko no mikoto,
13 febbraio 711 a.C. - 9 aprile 585 a.C.) è stato un personaggio del mito
giapponese, e secondo gli antichi scritti storici Kojiki e Nihonshoki, fu il
primo sovrano del Giappone. Il suo nome alla nascita era Hokohohodemi no mikoto
o Sano no mikoto e il titolo cinese Jinmu gli fu dato tra il 762 e il 764.
Secondo il mito nacque nella provincia di Hyūga, oggi prefettura di Miyazaki,
quarto figlio di Ugiyafukiaezu, il cui padre era nipote nientemeno che della dèa
Amaterasu, quando Jinmu conquistò Yamato, Honshū, oggi prefettura di Nara,
ascese al trono; il secondo imperatore fu uno dei suoi figli.
[2] Sansone (in ebraico
Shimshon, che significa "Piccolo Sole")
fu un giudice biblico, descritto nel Libro
dei Giudici ai capitoli 13; 14; 15; 16. Sansone era un eroe dalla forza
prodigiosa, concessa direttamente da Dio. Le sue imprese furono straordinarie e
segnarono solo una tappa verso la liberazione dai Filistei. Non è escluso che
in origine si potesse trattare di una figura mitica semidivina, dato che il suo
nome è connesso con il Sole (Shmsh). Del
resto, come non notare la somiglianza con Šamaš (Shamash nella resa
anglosassone) in accadico e Utu in sumerico, incarnante il Dio Sole della mitologia mesopotamica, e che con il dio della Luna
Sin (sumerico: Nanna) e Ištar (sumerico: Inanna), Dèa di Venere, faceva parte di una triade astrale di Divinità. Šamaš era figlio di Sin, e la
sua consorte paredra originariamente era Aya, successivamente identificata con
Ištar. Šamaš, in quanto divinità solare, esercitava il potere della Luce sulle Tenebre e sul Male, e in
questa veste fu venerato come Dio della
Giustizia e dell'equità, sia per gli Dèi
che per gli Uomini.
[3] "Gli Dèi muoiono, in quanto l’aspetto di “Dio Morente” accomuna diversi miti antichi, tra cui: Osiride, Krishna,
Dioniso, Mitra, Cristo, etc., e se gli Dèi
muoiono, significa che sono fatti di carne, di materia, e che non sono
onnipotenti ed immortali.
*
"Il Cammino del Viandante" di Federico Bellini
Parte III - Mitogenesi / Lezione 8, 8.4 - Quando gli Déi camminavano sulla Terra